L’altra faccia della run

Uno dei temi più discussi dalla letteratura pokeristica -specialmente quella legata all’aspetto mentale della disciplina- è come affrontare i downswing, periodi più o meno lunghi durante i quali i risultati si discostano negativamente dal valore atteso ottenuto su un campione significativo di mani, mantenendo una buona qualità e un buon volume di gioco nonostante la run non ci sorrida; il caso opposto -upswing che si discostano positivamente dal valore atteso- non viene quasi mai considerato, molto spesso a causa della percezione distorta che ne abbiamo.

La nostra mente è affetta da bias cognitivi, veri e propri pregiudizi che inquinano la nostra percezione e la capacità di formulare giudizi obiettivi, soprattutto in situazioni in cui vi è una forte componente aleatoria -risultati nel breve e medio periodo-, e in genere tende a soffermarsi più sulle sensazioni negative o di pericolo -che richiedono una risposta immediata-, che su quelle piacevoli, spesso date per scontate. Questo retaggio che ci portiamo dietro dall’alba dei tempi è sicuramente legato all’istinto di autoconservazione connaturato all’essere umano ed ha la funzione fondamentale di allarmarci ogni qualvolta avvertiamo una sensazione di malessere o di pericolo, ma è anche uno dei motivi per il quale ricordiamo molto più spesso le volte in cui ci hanno scoppiato gli Assi rispetto alle volte in cui siamo stati noi a farlo.

Se ci soffermassimo qualche minuto a pensare alla sintomatologia di una bad beat significativa potremmo ritrovarci in almeno uno dei seguenti punti:

– sensazione di frustrazione;
– aumento della pressione corporea;
– aumento dell’aggressività;
– sensazione di impotenza;
– perdita di fiducia in se stessi;
– rassegnazione.

Ognuno reagisce in maniera diversa agli eventi negativi, ma tendenzialmente le risposte sono incanalabili tra due poli: aggressivo o depressivo. Si potrà contestare che solo i giocatori poco esperti possono reagire in modo esagerati ad una bad beat, ma è davvero così? Per un amatore che gioca abbastanza spesso la bad beat non sarà una sola mano, ma dieci; per un grinder con una discreta esperienza, cento; per chi gioca da diversi anni, mille. Questo è un altro modo per raccontare il downswing, considerandolo su orizzonti temporali diversi e vissuto da prospettive diverse -dal neofita al professionista che si mantiene da anni grazie al poker-.

Esiste anche una risposta fisica agli stimoli positivi di ricompensa (come aver vinto un piatto significativo): il rilascio di dopamina, che influenza motivazione, attenzione, cognizione, umore e tante altre funzioni comportamentali. Inizialmente bastano stimoli ridotti per sollecitarne la produzione e gli effetti sono spesso benefici; in seguito, è necessario aumentare l’intensità degli stimoli (correre rischi più grandi, giocare a stake più alti o aumentare la varianza nel nostro gioco) e si può incorrere in spiacevoli effetti collaterali.

È facile dubitare quando abbiamo effettuato un herocall andato male, un bluff che non ha funzionato o una thin valuebet che è stata pagata da una mano migliore, ed è fondamentale farlo per diventare dei giocatori migliori. Invece molto spesso si ha un approccio orientato ai risultati quando gli herocall funzionano o un bluff terribile va a segno: questo crea un feedback positivo che ci porta a considerare quella giocata come corretta e a riproporla in futuro, senza averla analizzata. Tanti giocatori finiscono vittima del cosiddetto “delirio da good-run” e commettono tantissimi errori senza accorgersene -in primis sopravvalutano le proprie abilità-; questo capita soprattutto a giocatori che hanno diverse lacune tecniche -in questo caso l’esperienza può aiutare solo fino ad un certo punto- a causa di una distorsione cognitiva soprannominata effetto Dunning-Kruger, ma non bisogna trascurare il caso opposto: chi è in possesso di competenze adeguate può perdere fiducia in se stesso e avere una percezione affievolita delle proprie abilità durante i periodi negativi.
Bisogna sempre dedicare un po’ di tempo allo studio lontano dai tavoli anche quando abbiamo buoni risultati, senza dare per scontato che tutto ciò che abbiamo vinto sia meritato: avere una preparazione tecnica solida ha un effetto estremamente benefico anche sull’aspetto mentale della disciplina.

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